22 Novembre 2016
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Armi & Componenti
Breve storia della celeberrima Serie 92
Per chi (come me) è un grande nostalgico, oltre che appassionato, voglio ricordare che questo articolo è stato pubblicato nel luglio 2011 sulla rivista Action Arms del Grande Paolo Tagini.
Quando, tra guardie giurate, agenti di P.S. o semplici tiratori, si pronunciano le “tre parole”, non ci sono dubbi: si parla di una Beretta serie 92; in Italia (e non solo), dire “Ho la Beretta” esclude qualsiasi incertezza sul modello senza per questo che si ricorra a sigle, nomi o particolari specifiche tecniche.
I bambini di un tempo, quando giocavano a “cowboye indiani”, nella loro immaginazione idealizzavano probabilmente un Peacemaker Cowboy, il revolver di Bufalo Bill… dagli anni ’80 in poi, inutile dirlo, la 92 ha preso il posto di qualunque altro ideale di pistola. Parliamo sempre di Beretta serie 92, certo, ma la conosciamo, o meglio riconosciamo?
Foto 1. 2. 3. Prendendo in prestito la definizione Darwiniana, anche la Beretta ha sviluppato la propria “evoluzione della specie”: 1. mod. 34, 2. mod. 51 Brigadier, 3. mod. 92.
Dal dopoguerra ad oggi solo una sosta al “Brigadier”
Ciò che ha contraddistinto la 92, sin dai primi esemplari, sono stati l’eccellente robustezza, il design altamente operativo ed il funzionamento marziale; ovviamente, per arrivare a tali risultati le sperimentazioni sono state innumerevoli.
Volendo delineare una startup nella storia di quest’arma, è necessario identificarne i prodromi tecnici, indubbiamente già presenti sul modello 34, arma in dotazione nel nostro Paese negli anni 40.
Per quanto l’Italia sia sempre stata la patria delle star del panorama armiero mondiale (pensiamo a Beretta, Tanfoglio, Pardini, Zoli, etc.), data la forte politica proibizionistica che costantemente caratterizza la nostra realtà, non fu il nostro Paese il diretto committente del progetto che sfociò nella realizzazione di questa magnifica pistola.
A chi allora il merito?
Come spesso accade, quando si parla di armi ed innovazione, ecco che entra in gioco lo Stato di Israele: negli anni 50, su specifica richiesta rivolta alla Beretta, venne realizzata la 51 Brigadier per quel particolare mercato estero. L’arma, realizzata interamente in acciaio e con una meccanica rivoluzionaria per l’epoca, vantava sin dai primi modelli un’ottima robustezza e un ciclo funzionale abbastanza fluido, ovviamente ben lontano dalla moderna 92 FS.
Visto il successo riscosso sul mercato internazionale, anche il Ministero dell’Interno (italiano) non poté restare indifferente ed acquistò dalla Beretta alcune migliaia di esemplari destinate al proprio C.G.P.S. (Corpo Guardie di Pubblica Sicurezza… oggi Polizia di Stato); per quanto rivoluzionaria, la Brigadier era però un’arma ancora troppo pesante per alcune tipologie di operatori di Pubblica Sicurezza, pertanto ne venne realizzata subito una variante in Ergal – una lega di alluminio, magnesio e zinco – riservata agli appartenenti della Polizia Stradale.
Per nostra fortuna, le ambizioni della Beretta Spa non si limitarono comunque alla Brigadier: dopo innumerevoli studi condotti con l’intento di concretizzare un’idea realmente rivoluzionaria, finalmente nel 1975, dopo più di tre anni, venne depositato il progetto di una nuovissima pistola made in Italy.
Nacque così il mito della 92.
Le origini del nome
Nel mondo oplologico è ormai assodato che, di compagni di tiro “so tutto io”, purtroppo son pieni i poligoni; se poi tali personaggi rivestono cariche pubbliche di un certo livello, i giochi si complicano ulteriormente.
Sarà capitato a tutti di sentire infatti le più assurde elucubrazioni (sia in ambito civile che militare) a proposito di un nome tanto semplice: “92 perché progettata nel 1992”, “il 92° modello Beretta”, “l’arma è composta da 92 pezzi” e via dicendo.
Va bene il mito, ma quando si parla di origini sarebbe perlomeno sensato attenersi alla realtà!
Quando nel ’75 venne presentata al pubblico questa nuova pistola, la Beretta chiarì subito le proprie finalità racchiudendole in una sigla: la cifra 9 cifra a indicare il calibro dell’arma (9 mm), 2 come il caricatore bifilare di cui era fornita.
Ovviamente, con tali caratteristiche il successo non tardò ad arrivare: in breve tempo, oltre a essere impiegata da tutti gli appartenenti delle Forze dell’Ordine e delle Armate italiane, la 92 venne scelta da numerosissimi stati esteri; merito indubbio della rarissima omologazione NATO che quest’arma può vantare.
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Foto 4. La 98 Target è un’ulteriore versione della serie 92 sviluppata per i tiratori. Ovviamente, oltre ad avere una canna da 150 mm, e la tacca di mira regolabile, l’arma era fornita con un’impugnatura decisamente più performante rispetto alle versioni standard. |
Il funzionamento
Come già accennato, la 92 è un vero e proprio restyling della 51 Brigadier, ma in cosa risiede la vera innovazione?
Al pari della Brigadier, la 92 “rispolvera” il sistema di chiusura geometrica a blocco oscillante e apertura a sfruttamento del corto rinculo di derivazione Walther (per l’appunto chiusura Walther), montato però su di un fusto interamente realizzato in Ergal, per la prima volta impiegato per la realizzazione di armi corte prodotte su larga scala.
Un’arma leggera e robusta, dalla meccanica semplice, coronata da un elevato volume di fuoco.
Il ciclo funzionale dell’arma può essere riassunto in due fasi principali.
- Al momento dello sparo il gruppo canna-carrello, uniti per mezzo del blocchetto di chiusura, rinculano insieme sino allo svincolo del solo carrello nel suo moto retrogrado:
- in questo moto l’unghia estrattrice, posta nella parte posteriore destra della finestra d’espulsione, aggancia il fondello del bossolo spento e, trascinando lo stesso nella retrocorsa, lo conduce in posizione idonea all’espulsione;
- il carrello, giunto ormai al punto di massimo arretramento, arma il cane.
- L’azione della molla antagonista posta sotto la canna fa avanzare nuovamente il carrello:
- la faccia dell’otturatore intercetta la cartuccia dalle labbra del caricatore e la inserisce all’interno della camera di cartuccia;
- l’avanzamento ricompone il gruppo canna-carrello riportando l’arma in condizioni di fuoco.
La costituzione del gruppo canna-carrello, e il suo parziale movimento congiunto, forniscono due sicurezze importantissime, cui raramente si dà il giusto rilievo:
- nel movimento retrogrado, viene garantita la chiusura dell’arma sino alla stabilizzazione pressoria all’interno della canna;
- in fase di avanzamento, è impedito lo sparo accidentale sino alla ricostituzione delle condizioni di fuoco.
D’indubbia rilevanza, per il fine stesso per il quale è stata realizzata quest’arma, è che un ciclo di sparo per certi versi così semplice ne garantisca l’impiego in qualsiasi scenario, anche in condizioni meteorologiche avverse e in caso di scarsa manutenzione.
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Foto 5. La versione adottata dall’esercito degli Stati Uniti prende il nome di M9, del tutto paritetica all’italiana 92FS. | | | |
Lavori in corso d’opera: S, SB, F, FS
Il primo progetto della 92, per quanto innovativo, era indubbiamente una trasposizione modernizzata della 34 e della 51; la sicura ordinaria e il pulsante di sgancio del caricatore, entrambi posti sul lato sinistro del fusto (rispettivamente, in alto la sicura e in basso lo sgancio), penalizzavano notevolmente alcuni operatori; ragion per cui la prima variante, la 92S, riguardò proprio tale dispositivo di sicurezza.
Come in ogni realizzazione meccanica, pregi e difetti si possono riscontrare solamente dopo un lungo periodo d’impiego sul campo; più che di difetti, nel caso della 92S si dovrebbe parlare di lacune progettuali.
Innanzitutto la presa di coscienza, da parte degli enti preposti, della reale esistenza di operatori mancini all’interno delle Forze dell’Ordine fece da pungolo per l’evoluzione del sistema d’inserimento e disinserimento della sicura ordinaria.
Non dimentichiamo che siamo nel pieno degli anni 80: le vicende che dilaniarono il nostro Paese stravolsero non solo l’idea di pubblica sicurezza ma anche l’organizzazione, l’addestramento e la stessa operatività degli organi preposti.
Per quanto macabra possa sembrare tale affermazione, lo scenario nel quale si trovarono a operare i nostri tutori dell’ordine accompagnati dalla nuova 92S, funse da banco prova per le migliorie applicate successivamente alla 92SB, come ad esempio:
- sicura automatica al percussore;
- sicura ordinaria ambidestra;
- pulsante di sgancio del caricatore reversibile.
Le varianti apportate invece alla 92F seguirono in pieno i dettami imposti dalle basilari norme d’impiego di un’arma in ambiente tattico, necessarie per la successiva immissione sull’esigente mercato USA.Avvicinandosi più ai giorni nostri, la 92FS presentò un’unica modifica: una generosa fresatura nella parte posteriore sinistra (interna) del carrello che, coadiuvato da un perno d’arresto posto sulla sinistra del fusto, garantisce un’ulteriore sicurezza in caso di rottura dei fermi di ritenzione.
Tale modifica venne apportata al verificarsi di incidenti nei quali vennero coinvolti tiratori che, sia in ambito operativo sia in addestramento, vennero attinti dal carrello dell’arma in seguito a un cedimento strutturale dello stesso (il classico “carrello in faccia”).
A tal proposito va ricordato che, in Italia, le 92SB in dotazione alle forze dell’ordine vennero ritirate per un breve periodo in modo da consentire l’apporto di questo preziosissimo sistema di sicurezza; infatti, non è per nulla raro incontrare agenti di P.S. armati di 92SB riqualificate, ossia modelli sui quali è stata praticata l’importantissima fresatura della parte posteriore sinistra del carrello.
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Foto 6. Una delle più recenti evoluzioni della serie 92 è stato il modello 90-Two, disponibile nei calibri 9 Parabellum, 9×21 IMI e 40 S&W. L’impugnatura di materiale plastico e la slitta Picatinny segnano due importanti aggiornamenti al progetto. |
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Foto 7. Nella metà degli anni 80 la Polizia di Stato commissionò alla Beretta la realizzazione di una 92SB idonea all’impiego per il personale femminile. L’arma dalle dimensioni ridotte montava un caricatore monofilare, prese il nome di 92SBM e venne prodotta solamente in circa 20.000 esemplari. Per il mercato civile italiano la stessa variante prese il nome di mod. 99. |
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Foto 8. La Beretta 92 Combat Combo è forse uno dei modelli più curiosi della serie: era infatti fornito con due canne di diversa lunghezza. – Foto 9. La versione 92D si caratterizza per lo scatto in sola doppia azione e l’assenza di qualsivoglia sicura manuale. – Foto 10. Nella versione 92DS sono presenti lo scatto a sola doppia azione, più la sicura manuale sul carrello. – Foto 11. La Beretta 92 FS nell’esecuzione in acciaio inossidabile. – Foto 12. Uno dei modelli che più si discostano dal disegno classico della serie è il 92G Elite II. |
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Marco Milazzo